La primavera araba e l’inverno di Giulio

Giulio

 

Se Giulio Regeni non fosse morto – come è morto – probabilmente non lo avremmo mai conosciuto.

Diversamente dai più, Giulio non cercava la ribalta. Dottorando in Economia all’Università di Cambridge, era esperto di economia egiziana e di lotte sindacali; era in contatto con sindacalisti e oppositori del regime. Pubblicava, dietro pseudonimo, articoli in cui denunciava la repressione e le brutalità del regime del generale egiziano Al Sisi, raccontando al contempo la speranza di una nuova, appassionata, realtà sindacale.

Giulio è scomparso a Il Cairo il 25 gennaio, nel quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, che segnarono l’inizio della poi tormentata “Primavera araba” egiziana.

È stato ritrovato 10 giorni dopo, cadavere, sul ciglio di un’autostrada egiziana; il suo corpo, martoriato da fratture, bruciature di sigaretta, percosse, ci dice che le ricostruzioni della polizia egiziana (incidente stradale o rapina finita male) non corrispondono a verità.

Il Primo Ministro Renzi, che ora “chiede chiarezza” su quanto accaduto a Giulio, in un’intervista ad Al Jazeera di qualche mese fa, definì Al Sisi “a great leader”: un grande leader sotto il cui governo, negli ultimi due anni, sono state uccise – secondo i dati di Amnesty International – 1.400 persone considerate oppositrici del regime.

Non può che lasciare dolentemente e amaramente sorpresi scoprire, solo dopo la sua scomparsa, un ragazzo di appena 28 anni che sentiva – a dispetto del pericolo evidente – l’urgenza di raccontare e di denunciare.

È un altro pezzo della nostra meglio gioventù che perdiamo, a dispetto di chi intende classificare i nostri giovani come vacui “bamboccioni” capricciosi.

Il 2016 è stato decretato, dal generale Al Sisi, “l’anno della gioventù”.

Roma, 8 febbraio 2016

LA SEGRETERIA NAZIONALE