La Lump Sum e il karma dei post ’93

Per chi ci crede, ci sarebbe veramente da concludere che i cosiddetti “post ‘93” abbiano veramente un pessimo, pessimo karma.
Che in una vita precedente debbano aver fatto qualcosa di davvero demoniaco per meritarsi, qui ed ora, un simile contrappasso.

Non bastavano la previdenza obbligatoria sempre più scarna, l’innalzamento dell’età pensionabile, le cicliche dichiarazioni terroristiche di Boeri sulla generazione dei nati negli anni ’80.
Ci voleva pure la Lump Sum.

Se le parole “ante ‘93” evocano, nell’immaginario collettivo e non si sa ancora per quanto, un luminoso giardino dell’Eden, dove le piante crescono rigogliose, gli uccellini cinguettano ed i pensionati vivono in armonia con il resto del Creato, la dicitura “post ‘93” precipita immediatamente in uno scenario opposto: un castello tetro, diroccato; sinistri rumori, urla di disperazione; delle anime in pena, i post ’93, si aggirano per il castello senza trovare pace.

Quella pace, secondo qualcuno, dovrebbe essere la Lump Sum. Questa dovrebbe assicurare ai colleghi post ’93 una sorta di “liquidazione” a fine vita lavorativa; secondo i calcoli stimati, dovrebbe ammontare, dopo 35 anni di servizio e nella più rosea delle previsioni, ad una annualità dell’ultimo stipendio.
Messa così, sembrerebbe veramente un bel regalo da parte della Banca.

Però poi si riflette sul fatto che si tratta di un’annualità di stipendio, e non di retribuzione (indennità di residenza e premi vari, ad esempio, non sarebbero ricompresi nel calcolo), e un po’ si spegne l’entusiasmo.
Poi precisano che, per circa la metà, il Fondo sarà alimentato da te stesso e tutti gli altri colleghi (ante e post ’93) con una parte della propria efficienza aziendale o quel che sarà, e allora un po’ ci si sente presi in giro.
Poi si legge che il diritto all’erogazione della mini-liquidazione si matura solo dopo 30 anni, e allora un po’ ci si incavola pure, perché se dopo 29 anni si lascia il lavoro per una qualsiasi ragione, va a finire che per 29 anni quei soldi saranno stati buttati via.

L’IFR verrà abolito per i neo-assunti, sostituito dall’assai meno vantaggioso TFR. In barba alla solidarietà generazionale, ancora una volta il peso di una riforma verrà scaricato su chi ancora, in Banca, deve arrivare: ennesima applicazione del sommo adagio “chi tardi arriva, male alloggia”.
L’IFR dunque sopravvivrà solo per gli ante ’93 e per gli attuali post ’93 non aderenti al Fondo di Previdenza Complementare.

A questi ultimi – stimati in circa 270 colleghi – verrà molto magnanimamente consentito di entrare nel meraviglioso mondo della Lump Sum; in cambio, dovranno conferire al Fondo l’intero tesoretto di IFR maturato fino a quel momento. Ad occhio, c’è da credere che saranno soprattutto i colleghi con meno anzianità di servizio a lasciarsi tentare da questa possibilità; i favorevoli metodi di calcolo che vengono applicati all’IFR scoraggeranno invece tutti gli altri, che dal cambio avrebbero solo da perdere.

Questi irriducibili che si rifiuteranno di abiurare l’IFR e di abbracciare la Fede della Lump Sum, tuttavia, non se la caveranno con una generica accusa di empietà; essi, sebbene deliberatamente non aderenti al Fondo, dovranno comunque contribuire ad alimentare la Lump Sum con una quota della loro efficienza aziendale annuale, o quel che sarà, senza percepire a fine vita lavorativa nessuna somma.

Onorando una logica comprensibile a pochi (ma proprio pochi), la Banca si ergerà ad esattore di un obolo che non darà diritto ad alcuna prestazione, generando una situazione grottescamente fantozziana che meriterebbe la classica chiosa del “Com’è umano, Lei”.

A questi colleghi, gli ultimi non dei Mohicani ma dell’IFR, non resterà che dichiararsi prigionieri politici di un sistema previdenziale in cui non si riconoscono e autoconfinarsi in una riserva indiana fino alla fine dei loro giorni (lavorativi).
Quelli che amano le frasi ad effetto, la chiamerebbero, probabilmente, la “Tirannia della Lump Sum”.

La Lump Sum è corsa veloce, con un’accelerata improvvisa negli ultimi cinque giorni, verso la destinazione finale. Sono quasi tre anni che la Banca si trova sul groppone una quota dell’efficienza aziendale accantonata nel 2014 (anche questi, così come quelli che in futuro andranno ad alimentare la Lump Sum, soldi dei lavoratori della Banca d’Italia) proprio per garantire ai post ’93 una mini-liquidazione. Per cui bisognava fare in fretta.

Riflettendoci, però: questa Lump Sum peggiora la condizione degli ante ’93 e dei post ’93 che testardamente decideranno di non aderire al Fondo, perché li tasserà coattivamente e senza alcun ritorno.
Aggrava, e di molto, la situazione dei futuri neoassunti, che avranno un triste TFR al posto di un vantaggioso IFR.

Lascia del tutto incerta la situazione dei post ’93 aderenti al Fondo, delineando una mini-liquidazione finale co-finanziata dai lavoratori stessi, non definita nei suoi contenuti minimi, nell’importo della contribuzione e, dunque, nella sua reale consistenza finale.

E quindi, ci chiediamo, a chi giova una Lump Sum fatta così, se non alla Banca?

Eleonora d’Arborea

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