Inflazione e salari: è ora di epurare l’IPCA depurato

In questi mesi, sia in Banca, sia in generale tra i lavoratori del nostro Paese è esplosa la discussione sul divario tra crescita dei prezzi e crescita delle retribuzioni. Mentre l’inflazione ha sfondato in alcuni mesi le due cifre, gli stipendi sono sostanzialmente congelati. L’ISTAT ha ampiamente certificato questa diversa dinamica e non è il caso di illustrare ulteriormente questi dati dolorosi.

Mentre qualche commentatore continua a brandire lo spauracchio della spirale prezzi-salari, mito di cui si sono burlati pochi mesi fa persino i ricercatori del FMI (LEGGI), i lavoratori italiani hanno già perso dall’inizio del 2022 una quota del proprio reddito reale che oscilla tra il 5 e il 10% e rischia di raddoppiare nel corso dei prossimi anni, questo peraltro dopo decenni di stagnazione salariale.

Il problema, molto elementare, è che non sono da molto tempo in vigore meccanismi di aggiustamento automatico delle retribuzioni. Quindi quando aumentano i prezzi, i lavoratori devono sperare, in occasione del proprio rinnovo contrattuale, in aumenti analoghi degli stipendi, cosa che non è affatto garantita.

Le vicende dei meccanismi di scala mobile in Italia sono piuttosto lunghe e controverse e non possiamo sintetizzarle in questa sede. È però opportuno ricordare che, quando all’inizio degli anni ’90 la scala mobile fu definitivamente eliminata con l’Accordo del 23 luglio 1993, le parti sociali si impegnarono a sviluppare altri meccanismi per difendere il valore reale delle retribuzioni, meccanismi che dopo 30 anni stiamo ancora aspettando. Questo non perché non siano mancati gli accordi per introdurli, ma perché, come è evidente oggi anche all’osservatore più distratto, non funzionano.

In particolare, il tema è quello dell’ormai famigerato “IPCA depurato” la cui origine è da ricercarsi nell’accordo firmato il 22 gennaio 2009 tra Cisl, Uil e organizzazioni datoriali, che prevedeva che nei contratti collettivi di lavoro si derivasse l’adeguamento delle retribuzioni dall’andamento dell’IPCA (l’indice usato da Eurostat e Istat per calcolare l’inflazione al consumo) depurato dai prezzi dei prodotti energetici importati. Sorvoliamo sul calcolo assolutamente non trasparente dell’indice stesso. Il punto è che, poiché, quando si fa la spesa, il prezzo delle merci dipende dall’IPCA tout court e non dall’IPCA depurato, i lavoratori italiani sono sottoposti alla volatilità dei mercati energetici mondiali.

In alcuni settori i meccanismi contrattuali garantiscono una forma di adeguamento della dinamica stipendiale al reale valore dell’inflazione, ma questo non vale per molti altri settori, senza contare che una previsione contrattuale può essere cancellata per sfavorevoli rapporti di forza in occasione di una successiva tornata contrattuale.

Non è perciò un caso se i lavoratori italiani sono stati pesantemente colpiti dall’aumento dei prezzi, con ciò ponendo in modo eclatante la necessità di un meccanismo automatico di adeguamento che impedisca all’inflazione di falcidiare le retribuzioni e che magari ci liberi, con l’occasione, dell’inutile presenza dell’IPCA depurato.

Ovviamente anche i nostri stipendi non sono estranei a queste dinamiche: se prendiamo le spese per il personale esposte dalla Banca nei suoi ultimi due bilanci e le dividiamo per il numero dei dipendenti, osserviamo che la crescita nel 2022 è stata in media inferiore al 4%, ossia meno della metà della crescita dei prezzi al consumo secondo i dati ISTAT. E ovviamente, come per tutti i valori medi che si rispettino, tra i colleghi c’è indubbiamente qualcuno che ne ha risentito maggiormente. Cosa che non stupisce visto l’immobilismo delle tabelle stipendiali che ormai dura da tempo immemore.

Nonostante questo, la Banca temporeggia rispetto a qualunque iniziativa, incluse quelle obbligatorie perché previste contrattualmente, che supportino la dinamica salariale dei propri dipendenti: non solo quindi il rifiuto di negoziare il contratto sulla Carriera operativa o una effettiva revisione dell’Area manageriale, non solo la completa sparizione dal tavolo della trattativa del tema efficienza aziendale, ma nessuna notizia giunge nemmeno sul riconoscimento dell’IPCA.

Insomma, pare che qualunque strumento, adeguato o no, per contrastare la dinamica inflattiva, l’Amministrazione intenda ignorarlo.

La Banca non può continuare a trascurare il forte danno economico che deriva per tutti i dipendenti da questo stallo incomprensibile. È quindi necessaria una immediata convocazione sui temi economici per troppo tempo rinviati.

Roma, 13 Luglio 2023

La Segreteria Nazionale