CHE MONDO SAREBBE SENZA BANCA D’ITALIA?

Banca d’Italia batte Nutella ✌️

Come si può leggere nell’articolo di Panorama, e nel relativo commento Banca, che troneggiano da un paio di giorni sulla homepage dell’Intranet aziendale, con grande senso di autocompiacimento, il nostro Istituto sarebbe “al primo posto nella classifica delle aziende in cui si lavora meglio”, seguito a breve distanza dalla Ferrero (che era prima nella classifica dello scorso anno).

Una vittoria di misura, ma dal sapore un po’ amaro (e senza gli inconfondibili sentori di gianduia e nocciola).

Partiamo dal metodo con cui è stata stilata questa classifica: l’indagine pubblicata dalla rivista Panorama è stata condotta, si afferma, su un campione di lavoratori (circa 15.000) dell’intero universo di aziende (circa 2.000) con un’occupazione media superiore alle 250 unità.

Sembra che l’intero mondo del lavoro scelga la Banca d’Italia, dunque. Ma qualcosa non convince…al di là della poca chiarezza sulla selezione del campione di aziende (il numero di 2.000 non sembra rappresentare esattamente “l’intero universo”), calcoliamo che in questo campione sono stati intervistati, mediamente, solo 7,5 dipendenti per azienda. Non proprio tutta l’Italia che lavora.

Le domande poste hanno riguardato la probabilità, con cui l’intervistato raccomanderebbe la propria azienda ad altri e quali imprese raccomanderebbe in alternativa (dando maggior peso alla prima risposta).

Di qui il trionfo. Ben 7,5 tra i nostri colleghi si è dimostrato fortemente legato al proprio Istituto, tanto da suggerirlo più di quanto accade altrove.

Se il campione è stato ben stratificato potrebbe includere un direttore, un consigliere, un expert, un coadiutore, un assistente superiore (e siamo a 5), un mezzo assistente, un mezzo operaio…e via dicendo…fino a 7,5. Tutti felici, alcuni appieno…qualcuno forse a metà…

La Banca d’Italia è inoltre la più raccomandabile tra le aziende italiane. O almeno tra quelle note nell’immediato agli intervistati, che avevano ben 5 minuti di tempo per rispondere.

Tutto questo infonde la certezza di un forte senso di appartenenza all’Istituzione e di soddisfazione delle persone…che non ci lavorano. Perché per chi è dentro la visione, rispetto a quanto è stato pubblicato, è magari un po’ diversa.

Diciamo che è più che probabile che una valutazione così premiante possa essere dovuta alla “percezione”, che si ha dall’esterno, della Banca come un mondo dorato, magari col contributo di pubblicità che l’emanazione di qualche concorso ha, nell’ultimo anno, diffuso.

Lo si intuisce dal fatto che, tra i punti di forza che avrebbero consentito a mamma Banca di fare le scarpe al papà della Nutella rientrerebbero le retribuzioni alte già all’assunzione e l’attenzione alla formazione.

Con insolita precisione vengono riportati i livelli stipendiali iniziali dei vice assistenti e degli expert; stranamente non si fa invece alcun riferimento agli Operai III jr., che scritto così potrebbero sembrare i rampolli di una dinastia di petrolieri, mentre in realtà sono solo donne e uomini assunti (da quest’anno) per svolgere lo stesso lavoro degli Operai di III, ma con uno stipendio annuo inferiore di circa 7.000 euro e meno certezze sul futuro di quanto la formula “tempo indeterminato” suggerisca.

La possibilità di assunzione sarebbe poi aperta non solo a laureati, ma anche a diplomati, rendendo ancora più appetibile il livello stipendiale iniziale del vice assistente, ad esempio. Cui, però, nell’ultimo concorso, è stato in sostanza chiesto di possederla, quella laurea, eccome.

Quanto alla formazione in Banca d’Italia, le lodi si sprecano: si parla di una “formazione continua” e di “un programma intenso di formazione” per i neo assunti, addirittura rivendicando una media pro capite di 44 ore di formazione nel solo 2017.

Ora, e in Banca lo dovremmo sapere meglio che altrove, le medie sono concetti assai pericolosi, come il pollo di Trilussa insegna; guardandoci intorno, noi che in Banca ci lavoriamo, fatichiamo a trovare colleghi che si siano formati per quelle ore nell’arco di un biennio, figuriamoci in un anno solo.

Senza contare che, a partire dallo scorso anno, la Banca – secondo logiche non comprensibili a noi comuni mortali – ha deciso di mettere in un unico budget regionale le missioni operative regionali e la formazione decentrata, che infatti ha immediatamente subito tagli drammatici in alcune realtà.

Rimane però nostalgicamente commovente il modo in cui viene raccontata la storia dell’alto dirigente che, dopo 40 anni di servizio, pare si diverta ancora a lavorare: forse la prossimità al momento del pensionamento lo fa sentire comprensibilmente allegro, considerando che non dovrà assistere al lento e inesorabile declino con cui la Banca sta dismettendo le sue stesse attività, abbandonando i territori e in generale importando l’evoluzione negativa del mondo del lavoro esterno, scaricandone l’onere principalmente sulle nuove generazioni e sui neo assunti.

E questo fa ben comprendere pure il motivo per cui sua figlia non vuole avanzare candidature per concorsi ancorchè, sebbene donna, verrebbe tutto sommato rispettata, in Banca.

Ecco, tutto questo non per dire che in Banca d’Italia si stia male o che non sia un luogo di lavoro migliore di tanti altri.

Ma solo per esortare a non adagiarsi a pensare che quello di Banca sia il migliore dei mondi possibili, con la deriva di voler magari pensare che, in fondo in fondo, a qualche diritto possiamo anche rinunciare.

Perché la rosea situazione descritta dall’indagine potrebbe andare rapidamente a prendere il colore…della Nutella.

Le Gemelle Kessler

 

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.