TERMINAL 3

 

Un giorno qualunque di un mese qualunque nella Capitale d’Italia.
Vado a Fiumicino; ho mio padre da accompagnare a prendere un aereo per andare a trovare mia sorella che vive in un paese europeo; il suo volo parte dal Terminal 3.
Terminal 3: quello andato a fuoco qualche tempo fa. Mentre guido lungo l’autostrada il pensiero corre e si sofferma sul fatto di come possa accadere che un incendio distrugga centinaia di metri quadrati di una struttura che dovrebbe essere stata costruita con precisi criteri di sicurezza e con materiale ignifugo. D’altronde ognuno di noi, tramite parenti, conoscenti o in prima persona, sa come siano (giustamente) stringenti le norme di sicurezza da rispettare quando si intende aprire una, sia pur piccola, attività aperta al pubblico.
Misteri…
Terminal 3. Continuo a guidare e penso anche a come, in tempi record, sia stata ripristinata la sua funzionalità. Mi sorprendo a pensare che, tutto sommato, è un segnale di come, questo Paese sappia reagire alle avversità. Anche se sono avversità che si sarebbero potute evitare.
Terminal 3. Arrivo all’aeroporto e, come varco le porte, un acre odore di bruciato mi prende alla gola. Vedo decine di addetti ai vari servizi aeroportuali che indossano mascherine.
Terminal 3. Accompagno mio padre al “check in” e, poi, all’accesso ai “gates” e sempre più mi invade una sensazione di malessere. Nausea, sapore acre in gola e solo pochi minuti che sono in aeroporto.
Terminal 3. Finalmente sono all’aperto. Respiro a pieni polmoni l’aria salubre (???) e, lentamente, passa la sensazione di nausea mentre per il “raschietto” alla gola occorrerà un po’ più di tempo.
Terminal 3. Sulla via del ritorno continuo a pensare.
E’ vero, la struttura ha ripreso a funzionare ma quale prezzo paga chi ci lavora?
Io ho avvertito un profondo malessere dopo aver trascorso negli ambienti una “mezzoretta” e chi, invece, deve passarci ore ed ore per garantire il servizio?
E, allora, torno a pensare a come questo Paese reagisce alle avversità.
L’immagine dei Lavoratori con le mascherine mi rende orgoglioso della mia gente (quelli che lavorano) ma mi dà una rabbia inenarrabile.
Questo Paese, è oggettivo, va avanti grazie alle persone comuni che si alzano la mattina e vanno a lavorare.
In condizioni difficili, in un mondo sempre più avverso.
Una volta i Lavoratori erano al centro del mondo del lavoro, ora, invece, il pensiero dominante vuole che ci siano le aziende. Limitare i diritti di chi lavora è giudicato necessario per attirare imprese e lavoro (poi, magari, qualcuno avrà la bontà di spiegarmi perché la Whirlpool chiude e sposta all’estero la produzione nonostante il “jobs act” e amenità varie… ma questi sono altri discorsi).
Le stesse aziende, le stesse imprese che, con le loro logiche, hanno costruito il Terminal 3.
Quello andato a fuoco nonostante leggi e regolamenti.
Terminal 3. Uno specchio di questo Paese. Da una parte le chiacchiere su efficienza e produttività, dall’altra l’impegno e il sacrificio di chi lavora.
Da una parte coloro che trovano normale esporre migliaia di esseri umani ai miasmi mefitici e per nulla salubri di un ambiente pregno di materiale plastico bruciato, dall’altra chi si sacrifica e cerca di riparare alle malefatte altrui.

Terminal 3. L’Italia, l’Europa e i Lavoratori.

Uno che lavora

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