Come spesso accade, alcune sigle sindacali autonome, note per la loro inconcludenza, provano a ritagliarsi un briciolo di visibilità sollevando polveroni sterili, talvolta persino beceri, nella speranza che il rumore copra il silenzio assordante delle loro mancate conquiste.
Questa volta l’oggetto del loro “ambito” scandalo è la nomina di un ex dirigente sindacale a un incarico governativo. Una storia che provano a spacciare come “solita prassi”, ma che in realtà nasconde un dettaglio rilevante: la nomina di Sbarra non è frutto di un passaggio elettorale, ma una cooptazione, una designazione diretta da parte di un governo che si è già ampiamente distinto per l’assenza di politiche a favore del lavoro e dei lavoratori. Un governo che con la tutela dei diritti ha ben poco a che spartire. Altro che Walesa!
Eppure, la narrativa che viene proposta è sempre la stessa: tutti uguali, tutti dentro al “sistema”. Ma qui casca l’asino. Perché i dirigenti della CGIL che sono passati alla politica lo hanno fatto passando prima per le urne. Hanno accettato il giudizio democratico, legittimamente candidati ed eletti da cittadine e cittadini. Con trasparenza. Con l’obiettivo chiaro di portare nelle istituzioni i temi del lavoro, della giustizia sociale, della dignità per tutte e tutti.
In principio gli “autonomi” erano irrilevanti, e si giustificavano parlando di “esiguità dei numeri”. Oggi che alcuni colleghi, in buona fede, hanno creduto in loro e li hanno portati a sedersi al primo tavolo, ha fatto emergere la verità in tutta la sua chiarezza: al di là dei titoli altisonanti, nulla di fatto. Se escludiamo il taglio degli stipendi degli operai, il raddoppio degli anni necessari per il primo passaggio di grado nell’Area operativa, un po’ di dumping sociale nelle Filiali (magari mascherato da “flessibilità”) e qualche selfie con toni barricaderi, di risultati sindacali veri, degni di nota, nemmeno l’ombra.
Ed eccoli qui: a sventolare il solito volantino, contro la “casta sindacale”, confondendo ruoli, funzioni, perfino la storia. Perché quando mancano gli argomenti, resta solo la retorica maldestramente utilizzata.
Al contrario, il nuovo sindacalismo autonomo, quello che si indigna a comando, rappresenta solo sé stesso: non costruisce tutele, ma slogan. Non difende i lavoratori, ma si limita a inseguire un protagonismo tanto vuoto quanto autoreferenziale. Proclamano la difesa delle nuove generazioni mentre – nella loro inettitudine – non presentano nemmeno un candidato alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori per il Fondo Pensione Complementare ed è solo un esempio tra i tanti che potremmo citare.
Ecco la verità che si nasconde dietro certi volantini indignati: non si attacca la CGIL perché si vuole davvero discutere di autonomia e indipendenza, ma soltanto perché si vuole distogliere l’attenzione dal fatto che non si è mai stati capaci di ottenere nulla. E allora si punta il dito, si cita Walesa (che, per inciso, è stato anche lui Presidente della Repubblica, quindi in politica ci è andato eccome!) e si spera che nessuno noti il vuoto.
In conclusione: non perché la CGIL abbia bisogno di essere difesa, la sua storia parla da sé, ma perché le lavoratrici e i lavoratori hanno il diritto di essere informati correttamente. Di sapere chi fa cosa, con quali strumenti e con quali risultati. Le chiacchiere da volantino lasciamole pure a chi vorrebbe passare per un moderno Di Vittorio, ma finisce per assomigliare più a uno dei tanti opinionisti improvvisati in trasferta in Banca.
Noi continuiamo a lavorare, negoziare, contrattare e lottare.
Roma, 17 giugno 2025
La Segreteria Nazionale