Il principio essenziale

Probabilmente pensare che l’inclusione sia elemento essenziale di un contratto sullo smart working è da visionari.

Perché sarà gioco facile della controparte dire che sue, e non dei sindacati, sono le prerogative organizzative, che ci sono settori in cui la presenza è essenziale e imprescindibile, che la flessibilità è esercitabile come restrizione e non come allargamento delle maglie.

In effetti si tratta di un principio che, tranne noi, nessuno aveva pensato di introdurre, che più volte già nelle bozze delle intese di luglio è stato cancellato dalla Banca (e che abbiamo fatto reintrodurre) e che persino dopo la firma di quei testi è stato “accidentalmente” dimenticato nei comunicati dell’Amministrazione.

Se poi, nonostante l’esperienza pandemica, ci si mettono spinte ai rientri poco motivate ad anticipare una normalità ancora molto sfocata e una generale istanza di dimostrare quanto siamo presenti-ed-efficienti, diventa ancora più difficile scardinare l’idea che non possa esistere un modello organizzativo del lavoro che determini spazi di delocalizzabilità anche dove sembrano meno possibili.

Tutti ottimi motivi per i sindacati per continuare a negoziare, senza alcuna fretta di firmare, tenendo conto della perdurante emergenza sanitaria e della portata profondamente innovativa dell’accordo che si sta negoziando.

Non che si creda che si otterrà l’Inclusività Universale.

Del resto a nessun principio si associa la convinzione di ottenere tutto e subito: non è così quando si parla di giustizia, di uguaglianza e di tanti altri nobili ideali.

Ma quando si fa qualcosa in nome di quegli ideali, si crede che sia il tentativo di ottenerli a dover essere perseguito, pur nella consapevolezza che sarà difficile ottenere interamente quel che ci si prefiggeva.

E il tentativo, in un negoziato come questo, con le premesse dette, va fatto fino in fondo, perché ha già portato ad alcune importanti acquisizioni da noi richieste: a contemplare situazioni personali e familiari particolari (e a farle valere ovunque si lavori, perché un invalido o un genitore sono tali a prescindere dalla Divisione di appartenenza); a estendere la delocalizzabilità delle unità in cui si svolgono processi poco remotizzabili, legandola alle attività svolte.

Tutto qua? Siamo ancora lontani dall’inclusione vera, lo sappiamo. Ad esempio per la fascia intermedia nella quale, non si sa per quale peccato originale, specie nelle Filiali, non si può lavorare da remoto su attività ordinariamente remotizzabili (e senza che sia chiaro perché le stesse attività, se svolte in altre Divisioni, diventino invece remotizzabili “da fascia alta”): questo è senza dubbio il nodo più duro da sciogliere.

È il motivo per cui stiamo ancora negoziando.

Dove porterà il percorso lo vedremo.

Ma comunque finirà, sicuramente il percorso sarà servito per cercare di inserire questo principio laddove nessuno aveva mai pensato che lo stesso potesse trovare cittadinanza in una trattativa sullo smart working.

Roma, 17 novembre 2021

La Segreteria Nazionale