Gli appalti in Banca d’Italia: una storia da cambiare

Bandiere

 

Il 17 aprile 2015 pubblicammo un articolo sul Ponentino (leggi) che denunciava la situazione in cui versano le lavoratrici e i lavoratori delle ditte a cui la Banca d’Italia ha affidato in appalto un servizio.

Da allora la situazione è ulteriormente peggiorata. Dal 1 dicembre u.s. la stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori delle società che svolgevano il servizio di controllo delle portinerie nell’area romana ha perso il lavoro.

Sempre dal primo dicembre pesanti ricadute hanno colpito le lavoratrici e i lavoratori delle pulizie quale conseguenza della scelta effettuata dalla Banca, in sede di appalto, di diminuire considerevolmente il numero delle ore destinate al servizio: riduzione del personale o, in alternativa, riduzione per tutti di 1 ora e mezzo della prestazione.

Vi invitiamo a rileggere quell’articolo del Ponentino perché fotografava sinteticamente quella che è la condizione economica delle lavoratrici e dei lavoratori della ditta delle pulizie.
Lavoratori che percepiscono 4 euro l’ora.

Oggi riteniamo che all’articolo del Ponentino, un blog che per nostra stessa ammissione è un “Organo (semi)ufficiale e (semi)serio di (dis)informazione della Fisac CGIL Banca d’Italia”, debba seguire un’azione pressante, continua e concreta per impedire che nella gestione degli appalti a pagare siano sempre e comunque le lavoratrici e i lavoratori.

E’ ora di dire basta ad una politica che ha come unico obiettivo la riduzione dei costi, dalla quale derivano conseguenze negative sui lavoratori coinvolti e puntare su società che improntino la loro azione sul mercato a comportamenti più virtuosi e rispettosi dei propri dipendenti; dire basta all’uso oltre ogni limite della pratica del subappalto, alla mancanza di qualsivoglia controllo, pure possibile, sui comportamenti tenuti dalle ditte assegnatarie del servizio, a risposte tese ad avvalorare il concetto che le responsabilità sono sempre di altri.

Crediamo di non sbagliare affermando che molti di noi, attraverso un figlio, un familiare, un amico, un conoscente, vivono quotidianamente situazioni di precariato, di perdita del posto di lavoro, di accettazione di condizioni che mettono in discussione la stessa dignità personale. È bene, ogni tanto, ricordarlo: il lavoro è un diritto, non una cortesia né un privilegio. Nel lavoro il nostro Paese trova la sua pietra angolare (“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, recita l’art. 1 della nostra Costituzione); perché il lavoro assicura indipendenza e conferisce dignità al lavoratore; perché attraverso il lavoro ciascuno dà il suo apporto alla società.

Il fenomeno che denunciamo non è fuori di noi, ma ci deve appartenere, perché parla di affermazione del più forte nei confronti del più debole anche quando non ce n’è alcuna ragione, in una logica di esercizio smodato del potere. Un fenomeno che, qualora non trovi collettivamente un adeguato contrasto, è inevitabilmente destinato a penetrare in maniera sempre più pervasiva all’interno della Banca d’Italia.

E a tutto ciò va aggiunto il fatto che il livello dei servizi tende inesorabilmente a ridursi con conseguenze negative anche sui dipendenti della Banca d’Italia.

Sia chiaro: i responsabili sono e devono essere individuati non nelle colleghe e nei colleghi delle funzioni competenti in materia, ma nel vertice dell’Istituto che definisce quelle che sono le linee di condotta che la Banca d’Italia si dà nell’assegnazione e nella gestione degli appalti.

Ne abbiamo abbastanza di discorsi fatti in pubblico che dicono una cosa e di atti concreti che vanno in tutt’altro verso.

La Banca impone a tutti noi di tenere comportamenti coerenti con la delicatezza delle funzioni che siamo chiamati a svolgere. È giusto, ma chiediamo allora che nel codice etico della Banca – il documento che ne definisce i criteri di condotta – venga inserita una norma che dichiari esplicitamente che l’Istituto, nella definizione delle gare di appalto, garantisce la piena tutela dei livelli occupazionali, il rispetto (verificato e non solo enunciato) dei diritti spettanti alle lavoratrici e ai lavoratori delle ditte appaltatrici e richiede servizi di livello adeguato.

Come detto occorre dire basta, mettere in gioco un’azione di contrasto che tenga insieme tutte le questioni che riguardano, direttamente o indirettamente, la condizione lavorativa in Banca d’Italia.

In tal senso si muove la lettera allegata che abbiamo inviato alla Fisac Regionale di Roma e del Lazio e con la quale chiediamo, rispetto a tutti gli appalti che riguardano la Banca d’Italia, l’apertura di un tavolo permanente di confronto che veda la partecipazione della nostra categoria e di tutte le altre categorie della Cgil che rappresentano le lavoratrici i lavoratori coinvolti nei servizi che l’Istituto affida all’esterno, con lo scopo di definire precise linee di intervento.

Un’iniziativa che parte da Roma, dove si concentrano molti appalti, e che va poi estesa a tutto il territorio per farne una questione nazionale di tutela dei diritti, di legittimità e di civiltà.

Roma, 15 gennaio 2016

LA SEGRETERIA NAZIONALE

La lettera spedita alla Fisac CGIL di Roma e Lazio