Al “Bando”

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Dopo la vicenda legata al bando di concorso del febbraio 2020, che ha visto l’accoglimento da parte del TAR Lazio dell’istanza dei ricorrenti, la Banca ieri ha emanato una comunicazione (link) sulle decisioni prese al riguardo.

La Banca, con poche righe, comunica di aver “disposto la revoca del suddetto bando, optando per la prossima adozione di un nuovo bando conforme alle statuizioni del giudice amministrativo”.

La Fisac CGIL, rispetto a questa vicenda, aveva più volte invitato la Banca a optare invece per tutt’altra soluzione, che ammettesse tutti i candidati alla prova preselettiva, in modo da non vanificarne gli sforzi di preparazione, le aspettative e le speranze (link).

Ancora una volta invece, l’Amministrazione si è dimostrata sorda e indifferente.

Riteniamo perciò che valga la pena di spendere qualche riflessione su questa vicenda. 

Il mondo del lavoro nel nostro Paese sconta una serie di dinamiche tristemente note: precariato, disoccupazione, inoccupazione, ecc.. Il susseguirsi di crisi economiche, la recente fase pandemica ancora in corso e la prospettiva della crisi economica – ma anche sociale – che vi seguirà, rendono il quadro occupazionale drammatico.

È chiaro che un bando di concorso in un’Istituzione prestigiosa come la Banca d’Italia desta interesse particolare da parte della popolazione. 

Questa condizione dovrebbe costituire un vanto per il nostro Istituto, che dovrebbe porsi – così è sempre stato nel tempo – come esempio e modello a cui tendere: per la stabilità del posto di lavoro, per le prospettive che offre ai suoi dipendenti, per la garanzia di una solida dignità retributiva, per la correttezza e la trasparenza delle modalità di accesso e selezione.

Così è sempre stato, ci teniamo a ripeterlo. E vogliamo pensare che sia ancor oggi così.

Tuttavia, da qualche tempo, esistono ombre che offuscano questa nitida visione, tanto da iniziare a sbiadirne l’immagine, come da tempo la Fisac Cgil aveva evidenziato in un volantino (link) in cui veniva “bocciato” il comportamento della Banca. A quel volantino la Banca decideva di rispondere piccata con un documento interno (link), senza forse immaginare che troppa tracotanza l’avrebbe condotta a essere di lì a poco bocciata dalla decisione del giudice amministrativo.

Un’immagine che si sbiadisce non perché sia cambiato qualcosa nel mondo, ma perché sta evidentemente cambiando qualcosa all’interno dell’Istituto. E non in meglio.

La Banca, è evidente, anziché proseguire nel costituire un modello come quello sopra descritto, ha iniziato invece ad agire all’opposto: il mondo del lavoro è disastrato, tanti cercano un posto, una prospettiva, è possibile offrire lavoro a condizioni più vantaggiose per l’Amministrazione. 

Partendo da questo presupposto ha iniziato a scendere la china:

–       dicembre 2017, accordo Servizio Banconote: viene creato un nuovo grado di ingresso l’Operaio di 3^ jr con livello stipendiale decurtato e prospettive praticamente nulle rispetto al resto della compagine;

–       aprile 2017, concorso per Vice Assistenti: per concorrere ad un grado cui era possibile aspirare col solo possesso del diploma, viene richiesta la laurea.

Questo perché, ad un certo punto, la Banca ha pensato di poter assumere persone con più skills anche per gradi per i quali non era fondamentale. Peraltro, non era certo un artificio necessario, perché l’innalzamento generale del grado di istruzione della popolazione faceva sì che già, molto spesso, i Vice Assistenti assunti col solo diploma fossero in realtà in possesso di ben altri titoli di studio. Ma questo accadeva senza togliere la possibilità a validissimi diplomati di accedere per un grado del tutto in linea col titolo di studio. Ma evidentemente all’Amministrazione questo non bastava e ha voluto garantirsi col bando l’assunzione di personale il più possibile preparato, pagandolo meno di un Expert.

Ben presto questa scelta ha però mostrato tutti i suoi limiti: ha creato un malcontento all’esterno per chi è stato tagliato fuori, e all’interno perché assumere persone con un certo titolo di studio crea aspettative che poi, spesso, non possono essere soddisfatte per via del grado di assunzione e delle mansioni ad esso associate. E crea anche disparità nel confronto tra chi, pur rivestendo lo stesso grado, è stato assunto con diploma o con laurea come requisito: normale che i secondi si aspettino di più, normale che i primi si sentano sminuiti.

–       febbraio 2020, bando per 105 assunzioni nell’Area operativa: ai concorrenti viene riconosciuto un punteggio tanto maggiore quanto minore è il tempo trascorso dal conseguimento del titolo di studio richiesto.

Resasi evidentemente cosciente dell’errore fatto in precedenza la Banca ha deciso che questi operativi “masterizzati” avevano creato un problema di difficile gestione e ha tentato di invertire la rotta. Ne ha allora pensata una nuova, più perversa: assumere personale cui i titoli di studio richiesti davano punteggio valido solo se conseguiti da pochissimo tempo, in modo da avere a disposizione personale sì formato, ma non troppo (in pratica, il meccanismo rendere difficile ai possessori di laurea magistrale l’accesso ad un concorso che richiede o il diploma o la laurea breve). E il modo per farlo è stato un giochetto di punteggi che, in sostanza, premiava i più giovani con un palese tentativo di aggirare la legge, nel divieto di imporre limiti di età per i concorsi pubblici.

La prima cosa da evidenziare è che per perseguire le sue idee a scapito del personale, nuovo e non, la Banca non si è fatta scrupolo di agire contra legem e proseguire imperterrita davanti a tante rimostranze.

La seconda è che il continuo cambiamento di criteri nel tempo fa sì che nel medesimo luogo di lavoro si trovino a operare persone con requisiti d’ingresso differenti: questo determina una naturale, quanto insana, contrapposizione tra colleghi, imputabile solo ed esclusivamente all’Amministrazione.

La terza è che con l’ultimo concorso la Banca ha ancora una volta ribadito la tendenza a voler selezionare risorse sempre migliori (sempre più formati, sempre più giovani e sempre più belli), ma quando si parla di riforma delle carriere sembrano sempre mancarle le risorse da investire e nelle ultime riforme (vedi Ban) è riuscita anche a depauperare qualcuno.

Da troppo tempo, e ancor più con la pandemia, sembra quasi che alla Banca il suo personale dia fastidio, sembra che sia qualcosa da nascondere al mondo esterno.

Ne consegue il serpeggiare di un tenore di rigidità determinato dal terrore di finire sotto i riflettori, ma che in realtà non ha condotto ad altro che ad azioni foriere di critiche esterne, oltre a produrre un sempre più elevato e preoccupante malcontento interno, sotto vari aspetti.

Eppure la Banca dovrebbe saper bene chi “produce le scarpe di notte” (link).

Crediamo che dopo questa incresciosa vicenda sia il momento di invertire la rotta. 

Il periodo che attraversiamo è drammatico, quello che verrà sarà probabilmente ancora più difficile.

Investire sul lavoro sarà senza dubbio il vaccino più importante perché il Paese possa riprendersi. 

Sentiamo fortemente il bisogno di vedere un concreto ritorno da parte della Banca a investire seriamente sul personale. 

Roma, 20 gennaio 2021

La Segreteria Nazionale